La normativa vigente vuole che i rifiuti speciali di origine sanitaria prodotti dalle cliniche private debbano seguire un iter studiato per consentirne la raccolta, stoccaggio, trasporto, trattamento e smaltimento in sicurezza, in modo tale da ridurre i rischi sia in termini ambientali che per la salute della collettività.

La gestione dei rifiuti ospedalieri deve necessariamente essere affidata ad aziende specializzate e autorizzate al loro trattamento.

Nello specifico, l’iter può essere suddiviso in tre step:

  1. Stipula di un accordo con un ente (pubblico o privato) specializzato nella raccolta dei rifiuti speciali.
  2. Raccolta separata, interna alla clinica, dei rifiuti speciali in appositi contenitori certificati.
  3. Deposito temporaneo presso la clinica fino al conferimento dei rifiuti al servizio di raccolta.

Ma nel concreto, di quali rifiuti paliamo?

In Italia il riferimento legislativo di gestione è il DPR 15/07/2003, che definisce rifiuto sanitario ogni rifiuto proveniente da strutture pubbliche e private che svolgono attività medica e veterinaria di prevenzione, diagnosi, cura, riabilitazione e ricerca. Ovvero, tutti i rifiuti prodotti da attività sanitarie, indipendentemente dalla natura degli stessi, distinguendoli in rifiuti assimilati agli urbani, speciali pericolosi e speciali non pericolosi.  Nello specifico il DPR prevede un’ulteriore suddivisione in sette sottocategorie di rifiuti:

  • sanitari pericolosi (RSP)
  • sanitari assimilati agli urbani (RU)
  • rifiuti da esumazioni e da estumulazione
  • sanitari pericolosi a rischio infettivo (RSP-I)
  • rifiuti speciali prodotti al di fuori delle strutture sanitarie
  • sanitari pericolosi non a rischio infettivo
  • sanitari che richiedono particolari modalità di smaltimento

Per fare alcuni esempi, appartengono ai rifiuti a rischio infettivo i materiali di medicazione, strumenti monouso, rifiuti taglienti (quali aghi o siringhe), rifiuti di laboratorio e parti anatomiche contaminate da liquidi biologici. Rientrano invece nei rifiuti assimilabili agli urbani i residui delle preparazioni alimentari, gessi ortopedici e bende, i quali, però, non devono mai essere venuti a contatto con sangue o altri liquidi biologici o sostanze di laboratorio. E, ovviamente, non devono provenire da ambienti di isolamento infettivo.

Le prescrizioni normative

Vista la delicatezza e la potenziale pericolosità dei rifiuti, la gestione dei rifiuti prodotti dalle cliniche private deve essere affidata ad aziende specializzate e Iscritte all’Albo Nazionale Gestori Ambientali.

Le norme impongono di seguire rigorosamente le procedure indicate. Ad esempio, i contenitori utilizzati per la raccolta possono essere di tre tipi:

  1. In plastica rigida, per oggetti taglienti o appuntiti
  2. In cartone, per rifiuti non taglienti e non liquidi
  3. Taniche e fustini in plastica, omologati, per i rifiuti liquidi.

Per quanto riguarda invece il deposito temporaneo dei rifiuti, la norma prevede delle tempistiche ad hoc, che variano al variare della quantità e della tipologia del rifiuto:

  • Per i rifiuti sanitari pericolosi (potenzialmente infetti) il deposito non può protrarsi oltre i 30 giorni, per quantità inferiori ai 200 litri. Nel caso in cui il quantitativo superasse il totale lo smaltimento dovrà avvenire entro 5 giorni.
  • Per i rifiuti speciali pericolosi (ad esempio amalgama o liquidi di radiografia) le tempistiche di deposito arrivano fino a un anno, per quantità inferiori a 10 000 litri. Il ritiro può avvenire anche a cadenza trimestrale (a scelta della clinica).
  • Per i rifiuti speciali non pericolosi (che non contengono sostanze pericolose) le tempistiche sono le stesse della voce precedente, quindi un anno, o trimestralmente. Varia però la quantità limite, che sale a 30 000 litri l’anno.
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