La prima domanda che viene spontaneo porsi una volta che ci si trova davanti al vastissimo panorama legato allo smaltimento dei rifiuti è una sola: quante e quali categorie ne esistono?

La questione non è banale. La classificazione dei rifiuti, infatti, risulta essere un passaggio obbligato, indispensabile e fondamentale in questo frangente, dal momento che i suoi effetti finiranno necessariamente per ripercuotersi su tutte le fasi successive della gestione dei rifiuti, sia ambientali che amministrative.

Il primo passo da compiere per una corretta gestione dei rifiuti, dunque, è rappresentato dalla loro esatta classificazione. Una prima, grande distinzione preliminare in questo scenario è quella tra rifiuti urbani e rifiuti speciali. L’onere di questa differenziazione incombe necessariamente in capo al produttore dei rifiuti: dall’esito di tale operazione dipende, infatti, la gestione in toto del rifiuto, la quale deve avvenire secondo modalità che ne comportano il trattamento e lo smaltimento in determinati impianti piuttosto che in altri, con costi differenti a seconda delle diverse destinazioni.

 

Speciale o urbano? Le principali differenze

La distinzione tra rifiuti urbani e speciali è definita dalla loro origine: tra i primi figurano principalmente i rifiuti domestici indifferenziati e da raccolta differenziata, ma sono ricompresi anche rifiuti giacenti in aree pubbliche, derivati dallo spazzamento delle strade o dalla manutenzione del verde pubblico e provenienti da aree cimiteriali. Stando alla definizione prevista dall’art. 183 del D.lgs. 152/2006, così come modificato dal D.lgs. 116/2020, sarebbero urbani  anche i rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti, dunque anche da utenze non domestiche (ad eccezione dei rifiuti provenienti da attività industriali ed agricole di cui all’art. 2135 del cod. civ.).

I rifiuti speciali sono invece tutti quei rifiuti, non ricadenti nella categoria appena citata, che derivano da attività economiche, come attività agricole, agro-industriali e della silvicoltura, di costruzione e demolizione, industriali, artigianali, commerciali, di servizio, da attività di trattamento rifiuti e da attività sanitarie, a cui si aggiungono i veicoli fuori uso.

A ciò va poi aggiunta un’ulteriore precisazione derivata da una modifica all’art. 238 c. 10 del D.lgs. 152/2006 – relativo alla tariffa – in vigore dal 1° gennaio 2021. In base a tale modifica, i Comuni non possono più assimilare i rifiuti speciali agli urbani attraverso un proprio Regolamento comunale, ma devono necessariamente attenersi a quanto previsto dalla normativa vigente a livello statale. Sempre a partire dal 1° gennaio 2021, inoltre, è andata a decadere la definizione di “rifiuti speciali assimilabili agli urbani”.