Il settore dei rifiuti speciali e il ruolo dei termovalorizzatori
La direttiva 2018/851 del Parlamento Europeo prevede una serie di misure finalizzate a implementare l’economia circolare, aumentando riciclo e riutilizzo dei rifiuti. Si tratta di un cambiamento auspicabile che mira a rendere più efficiente la gestione dei rifiuti, ma non significa che sarà conseguentemente possibile eliminare completamente l’attività di incenerimento, in particolare dei rifiuti speciali. La stessa direttiva prevede infatti che “quando i prodotti, i materiali e le sostanze diventano rifiuti, la presenza di sostanze pericolose può rendere tali rifiuti inadatti per il riciclaggio o la produzione di materie prime secondarie di elevata qualità”. In questi casi la termovalorizzazione rappresenta, a oggi, l’unica soluzione percorribile.
Anche la Corte Ue ha recentemente ricordato la legittima presenza dei termovalorizzatori nella gerarchia di gestione dei rifiuti: le tre diverse opzioni – riciclo, termovalorizzazione e discarica – sono intese come un sistema integrato, a priorità decrescente. La termovalorizzazione, intesa come attività residuale rispetto al riciclo, risulta ancora preferibile rispetto alla discarica.
Inoltre, il “Green Book – Rapporto sul Recupero Energetico da rifiuti in Italia” dell’aprile 2022, realizzato da Utilitalia in collaborazione con Ispra, dimostra che il recupero di energia da rifiuti è essenziale per il conseguimento degli obiettivi fissati dalle direttive europee sull’economia circolare. Purtroppo, gli ultimi dati Ispra disponibili mostrano come questo sia un traguardo ancora lontano: nel 2020 in Italia il 51% dei rifiuti urbani è stato avviato a recupero di materia e trattamento biologico della frazione organica, il 18% a termovalorizzazione e il 20% in discarica.
Per quanto riguarda l’Italia, la carenza di impianti di termovalorizzazione è nota e certificata da numerose analisi; a rendere ancora più critica la situazione, molti impianti attualmente in esercizio presto arriveranno a fine vita.
Portando l’esempio dei rifiuti urbani, anche nel caso in cui, entro il 2035, venisse raggiunto l’obiettivo ambizioso indicato dalle direttive europee sull’economia circolare, ovvero che il 65% di rifiuti sia avviato a riciclo, per limitare il ricorso alle discariche entro il 10%, il 25% dovrebbe essere smaltita tramite termovalorizzazione, una quota molto rilevante di rifiuti addirittura superiore alla presente. La termovalorizzazione è oggi, e lo sarà ancora per molti anni, un elemento essenziale nella valorizzazione dei rifiuti non recuperabili, essendo complementare (e non in contrasto) alle altre attività di recupero dei rifiuti.
La provenienza dei rifiuti dipende dalla piattaforma in cui vengono conferiti dai produttori, non dall’effettiva produzione regionale. I rifiuti prodotti dalle piccole e grandi aziende industriali, artigianali e di altro tipo, solitamente vengono prima portati in piattaforme di smistamento, dove vengono preparati per essere poi conferiti agli impianti di termovalorizzazione. I rifiuti in ingresso vengono quindi sottoposti a un pre-trattamento meccanico biologico che consente di separare i materiali utili e di compattarli, ovvero di ridurne umidità e volume.
La situazione in Fvg
Per quanto riguarda il Friuli Venezia Giulia, secondo il rapporto di Arpa Fvg, nel 2020 le attività produttive regionali hanno prodotto oltre 6 milioni e mezzo di tonnellate di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, delle quali 2 milioni e mezzo sono costituiti da rifiuti non pericolosi da costruzione e demolizione. Di queste, sono state destinate al recupero di energia (R1) circa 310 mila tonnellate di rifiuti[1] – ben più della capacità massima dell’impianto di Eco Mistral, che è autorizzato a trattare complessivamente 25 mila tonnellate di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi all’anno, e ben più del nuovo impianto in progetto, che potrà trattarne 70 mila tonnellate all’anno.
[1] Fonte: Arpa Fvg http://www.arpa.fvg.it/cms/tema/rifiuti/dati_ambientali/Rifiuti-speciali/gestione.html